Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


venerdì 30 marzo 2012

Resistenze a pubblico ufficiale.

Ho già parlato della mia passione per i giardini fantasiosi e irregolari, e in generale di come aderisca empaticamente a molti dei tentativi di resistenza anarchica all'uniformità -e talvolta anche alle uniformi.
Viaggiando un po', ho trovato un bellissimo blog che si chiama Outsider Environments Europe. Racconta per immagini e per parole strane storie di gente che ha deciso di disegnare in tre dimensioni la mappa del suo mondo interiore.


Matti, eccentrici, pensionati, viandanti radicati a un certo punto in un luogo, vecchi hippy con la treccia e la barba, giovani non adatti, contadini analfabeti eccetera eccetera tutti uniti da un istintivo o molto consapevole rifiuto di un'estetica di pubblico dominio. Ognuno per sé, impermeabile alle rimostranze di vicini o urbanisti, applica il suo diritto alla differenza e indossa un luogo come un vestito eccentrico (oggi metto le calze a pois all'ingresso di casa mia).





In un mondo in cui l'occupazione, lo sfruttamento e la sottrazione di territorio e di bellezza, sotto forma di cartelli pubblicitari, grattacieli, alte velocità, abbattimento di alberi, schermi al plasma e superstrade è pratica di prevaricazione quotidiana e raramente discussa, amo pensare questi luoghi anarchici come avamposti a difesa di un libero esistere e di tutti noi.

 tutte le foto arrivano dal blog che ho citato.

domenica 25 marzo 2012

Liberarsi dalle pietre.

"Ho la testa a viole", così dice un caro amico quando, svagato o innamorato, è distratto e fra le nuvole. In effetti, anche le viole sembrano sempre un po' distratte, e poi fragili, delicate, sensibili alle foglie e alla grandine e ai colpi di vento.
Ma, mai abbastanza, occorre ricordare che l'apparenza, banalmente, inganna.


Questa viola fuggitiva, ogni primavera, si scava la sua possibilità di esistere, riuscendo a trovare la strada e a spuntar fuori dal pavimento, per prendersi la sua dose di sole e di aria. Delicata e determinata, come credo siano tutti quelli che riescono a liberarsi dalle pietre.

grazie a Mimmo Capotorto per la foto e il pensiero.

giovedì 22 marzo 2012

L'Amazzonia delle cavallette.


A noi generalmente colpiscono le cose grosse. Quelle piccole spesso non le vediamo, oppure le calpestiamo.  A volte le cose piccole sono fortunate, perché rientrano nella categoria del "carino", ma di solito non è così: ascoltiamo chi urla e zittiamo chi sussurra, ci scostiamo se passa un gigante e travolgiamo un nano, ce ne freghiamo allegramente di camminare sopra l'erba e le formiche, ma di solito ci farebbe quanto meno impressione schiacciare un pioppo o una mucca o un pugile.
Insomma, nel mondo che viviamo inevitabilmente, a nostra proporzione, spesso ci rimane ignoto tutto un altro mondo, che vive alla sua, di misura.


 Per fortuna ci sono film come Microcosmos, oppure le notizie come quella che è apparsa oggi sul Corriere: i prati europei sono più ricchi di biodiversità della foresta amazzonica.
Abutilon , tarassaci, trifogli, campanule, achillee,vinche, malve, alchemille, camomille e tutte le piccole piante spontanee che vengono in mente e anche no e che magari vediamo come moltitudini e macchie di colore senza neanche sapere che hanno un nome, sono tutte parte di foreste amazzoniche o pianeti sconosciuti.


 Affascinanti ed esotiche proprio come palme, liane, alberi della gomma e orchidee, solo a saperle guardare con gli occhi dei grilli, dei bruchi o delle libellule.

 

lunedì 19 marzo 2012

Liebster blog

...come al solito distratta come un bambino al banco delle elementari, ho aspettato finora per ringraziare Silvia di "Due architetti e una cucina" del premio Liebster blog che sta cercando di girare nella rete, se gente come me non ne rallentasse il corso.
Donc, le mie scelte, anche se è difficile. Io sono onnivora e curiosa.

Matsu-o, una realtà parallela di Valentina,  in cui bambole dai grandi cappelli  nascondono (anzi rivelano) personalità di muffin, di rane o di pesci volanti.
Todrownarose, dove c'è Rose che riempie di suggestioni tra ephemera, musica, grafica e altri animali, tutti uniti da un particolarissimo sguardo.
Thechicfish, che sinceramente penso abbia più di 200 lettori fissi, ma siccome non c'è scritto vale uguale. Luoghi, atmosfere e mondi tra vintage and poetry.
VerdeInsieme, dove Marcella riesce, con levità e precisione insieme, a raccontare la botanica e molte altre cose
Teatro e natura, il blog di Lorenza, attrice giardiniera che porta il teatro e non solo nelle radure del bosco e prega preghiere laiche che mi emozionano.
e poi vabé, Lidia, ma lei credo abbia una valanga di lettori, per il suo sguardo, la sua intelligenza affilata e perché non fa sconti a nessuno.

Ecco le regole:
Ringraziare e linkare chi ti ha assegnato il premio
Copincollare il logo del premio
Elencare 5 blog con meno di duecento iscritti
Informare i vincitori con un commento nei loro blog.

Grazie mille Silvia, e sorry per il ritardo.


domenica 18 marzo 2012

Ancora sul dono.

E poi a pensarci bene, un mazzo di fiori è un dono di una specie molto speciale (non richiede reciprocità,  non richiede impegno, non richiede neanche davvero gratitudine, puro omaggio e ringraziamento all'esistenza, con buona pace di Marcel Mauss e anche dell'osticissimo Jacques Derrida).
Quasi impossibile non accettarlo. Nel riceverlo, ci si sente un po' come la Callas o la Carla Fracci, o la Pausini, secondo i gusti, divinità in diritto d'essere venerata. E basta.

Un vestito obbliga a essere indossato, almeno una volta, almeno in presenza del donante.
Un gioiello è un impegno.
Un vaso deve essere esposto.
Un libro deve essere letto, almeno nel retro copertina, perché richiede d'essere commentato.
Una scatola di cioccolatini deve essere mangiata, e offerta.
Persino una pianta deve essere travasata e curata.
I fiori no. Richiedono solo di essere guardati, fino a quando se ne ha voglia.

sabato 17 marzo 2012

Considerazioni a margine di un mazzo di fiori.

 (Nella foto ci sono mia madre e i suoi fiori di compleanno).

Un tempo, quando mettevo quasi sempre le birkenstock, sostenevo di non amare i fiori recisi, perché, più politicamente corretta di adesso, mi sembravano apparentati a cose che ritenevo futili e vane. Ci sentivo un profumo, peraltro per certi versi innegabile, di egoismo, se non di prepotenza.
In realtà, però, ho sempre amato i timidi doni di fiori di campo, i bouquet preraffaeliti di rose gialle ed edera variegata, le peonie fin de siècle e persino di nascosto le chimiche e ingenue rose blu dei miei quindici anni, che spesso avvizzivano senza neanche aver la fortuna di uscire dal cellophane, insieme al biglietto che le accompagnava.
Per storie o leggende familiari, non ho mai saputo resistere al fascino malinconico dei mazzetti di viole di bosco, come quelli che, sempre freschi, a Parigi qualcuno depone sulla tomba dell'Aiglon. Oggi mi invento le occasioni per entrare dal fioraio Bollettini, di cui un giorno parlerò.

Andare al mercato e comprare fiori freschi nella carta di giornale può avvicinare a una sorta di frullo d'ali di felicità, e questo dono effimero di una bellezza che non chiede nulla, tranne che di essere guardata, può dar ragione, credo, all'intera vita di un fiore, e giustifica persino il filo affilato della lama delle forbici, e un gambo tagliato.

giovedì 15 marzo 2012

Signora libertà, signorina anarchia.


Dedicato agli anarchici, ai bufali prima di Bufalo Bill,
ai lupi di Roccaforte Mondovì che tutti sanno che ci sono solo dalle impronte e da qualche povera pecora sgozzata,
ai funghi che spuntano all'improvviso come punti di domanda,
ai gatti quando sono pieni di graffi e di testosterone,
agli uccelli migratori, alle piante vagabonde,
ai semi che volano,
ai conigli che tagliano le reti, alle volpi che scappano dalle tagliole,
ai grandi ulivi sacri che scolpiscono i loro rami per assomigliare al vento,
al vento e al mare e a tutti quelli che non si lasciano modellare
da scarpe ortopediche, apparecchi per i denti,
o tutori per far crescere dritti i pomodori.

(grazie a Fabrizio De André per la canzone e a Nike Capotorto per quest'ultima citazione)

sabato 10 marzo 2012

La primavera delle cime di rapa.

Sono anche io, quest'anno, come le piante di cui parlavo qualche giorno fa. In rinascita primaverile battagliera e concentrata, molte gemme e pochi fiori.


Ma poi mi commuovo e mi torna la leggerezza quando scopro, nel sacchetto dimenticato in frigo, tra foglie gialle e gambi appassiti, un piccolissimo dono delle cime di rapa, decise a non finire nella spazzatura, senza prima aver celebrato la loro primavera.

mercoledì 7 marzo 2012

Un soffio di primavera: signore azzurrine e fiori di campo.


Adoro i banchi di fiori al mercato. E le gite ai vivai. Gli scaffali di giardinaggio che compaiono in questa stagione al supermercato, i chioschi di rose agli angoli delle strade. E adoro le mostre mercato di piante, che a primavera fioriscono qui intorno e dappertutto.
Ho proprio una specie di ossessione per le fiere di questo tipo, mi rendono felice appena so di poterci andare. Quelle alla mia portata sono pochissime in realtà: Floralia a Brera, Orticola ai giardini di Porta Venezia, Giardini nel Tempo a Cesano Boscone. E un Soffio di Primavera, a Villa Necchi Campiglio.


Le altre me le guardo sui blog.
 Quello che preferisco, di questo tipo di fiere, è in assoluto la pervicacia di certi vivaisti a non arrendersi ai gerani, viole del pensiero e rose nane. Sono affascinata dal lavoro di ricerca per coltivare la biodiversità, per non far estinguere le piante che ornavano gli orti o i giardini di nonne e prozie. Anche dall’idea di onorare le spontanee con vasetti (che poi, è solo un fatto culturale quello di dedicare una casa a un tipo di pianta e sforbiciate a un altro tipo, a parer mio).
Ogni volta torno a casa con piante tendenzialmente povere e quasi sempre identiche a quelle che crescono autoctone nelle mie campagne cuneesi, ai lati dei fossi, come le graminacee, le rose canine, le viole selvatiche, le bacche.


Domenica sono andata a Villa Necchi Campiglio, che è uno di quei posti graziati milanesi, in cui ancora permane un’eleganza discreta di buona borghesia lombarda veneta. Dentro c’è una collezione di opere d’arte, da guardare di sbieco, come se per caso la si scoprisse a casa di un lontano cugino (oh, un Canaletto, toh, un Morandi…ah, De Chirico).
Fuori il giardino. 
 “Un soffio di primavera” è la fiera che apre la stagione floreale qui a Milano e quello che mi piace è che, soprattutto quest’anno, la mostra era una vera galleria di speranze. Le piante ancora troppo piccole per essere scenografiche, alcune addirittura ancora addormentate, raccontavano di sé attraverso l’immaginazione –e i cartellini. Molto bon ton, troppo bon chic bon genre per i miei gusti un po' randagi, ma splendente di eleganza retrò di vecchie signore azzurrine impegnate ad ammannire torte casalinghe per qualche giusta causa. Spille, orecchini, messa in piega.

Resistete signore Necchi e Portaluppi, ci siete indispensabili, proprio come i fiori di campo.

I miei acquisti:
un piccolissimo sedum rosato (5 euro!)
una viola boschiva (3 euro!!!)

I miei vivai preferiti:

Maurizio Feletig, per le rose selvatiche, pimpinelle e  bacche
Cascina Bollate, per il suo particolarissimo tipo di coltivazione, e per il lavoro bellissimo sulle specie rustiche e rare.

domenica 4 marzo 2012

Coraggio abbastanza per ogni volo.

 per la foto, grazie a Viadellebelledonne

Mariangela Gualtieri è una poetessa sciamana, medium tra mondi, che attraverso le parole, e la sua voce che le dice, copre distanze siderali tra le profondità, rendendo visibili fili nascosti e disvelando un'impalpabile e insieme adamantina comunione.

Questa è una parte della sua Predica ai pesci, che mi sembra un contributo meraviglioso all'idea (consolante) che non siamo mai veramente imprigionati nella nostra pelle. Che siamo sempre parte di.

Io sono dei vostri, alberi,
sono dei vostri
animali eleganti, io sono dei vostri.
Credetelo.
Sono dei vostri.
Ci separa soltanto un fiato infantile,
ma lo so, lo so,
sono io tutto quel manto,
sono io il tronco e lo storno e il falco.
Ci separa un niente, colore. capello,
piccolo piccolo nome:
l'impianto del respiro è solo apparente diverso.
Ci guarderemo fraternamente.
Io sarò migliore.
Larga come l'andare d'un fiume
grande, ci capiremo con l'albero e col seme,
capiremo l'insetto e la grandine.
Risplendiamo. Adesso.
Essere il mondo, voglio.
Sentirmi a casa nel cosmo.
E le maree saranno la strada del gonfio cuore.
Sarà d'amore se cresco.
Se avanzo o calo. Sarà d'amore.
E luce voglio.
Cosí m'impétalo, che mi spensiero,
che rido mentre corro, come la rondine,
mi moltiplico a stelo, gocciolo, mi biforco,
mi alzo e tramonto, mi slargo, mi infaldo,
divento cima e svetto, mi innevo e frano.
Tutto questo io voglio, dolcemente,
perché fuori dell'umano il dolore è uno sparo
minimo e la più gran parte è ridere,
mi pare, il grande canto.
Lo senti il firmamento?
Com'è sereno!
Anche noi siamo dentro.
Abbiamo polverine nelle vene,
antiche come il cielo,
sono disciolte nel sangue,
hanno dentro l'impronta d'un andare semplice e grande,
come le grandi sfere.
Abbiamo sfere nel sangue,
cartine geografiche con strade d'argento
e vedute telescopiche fino ad Aldebaran.
Abbiamo Vega nel sangue
la stella prodigiosa,
e istruzioni precise per il viaggio
per l'appontaggio
e coraggio abbastanza per ogni volo.

grazie ad Alice.

sabato 3 marzo 2012

Prima della primavera.


Il sole, a Milano, è già generoso e fa allegra la gente per strada, seppur indecisa tra piumini e ballerine. Sul mio terrazzo invece, è luce riflessa dal rosa chiaro della casa di fronte, un'idea, più che una sensazione.
Qui dalle mie parti, così, la primavera in arrivo non è una promessa scontata, ma piuttosto un traguardo da conquistare, e le piante più audaci si svegliano già combattenti. Escono dalle loro tane sotterranee come piccole talpe stupite e ubriache d'aria, verdi di un verde nuovissimo e puro.



 Non esplodono di energia estroversa, ma sembrano invece concentrati di vita in potenza, distillati di molti dei concetti che a fatica si cercano nelle storie zen, nelle parabole o nelle religioni, per chi vuole.
La primavera è infanzia di lotta, mi pare.




È istruttivo guardare dentro i vasi, in questo momento, perché contengono un percorso.


 Io l'ho fatto, e mi sono rappacificata con le foglie marroni, i rami secchi e tante altre cose, che ancora hanno il sopravvento, ma che nulla possono contro quella che chiamiamo rinascita, e che è anche, sempre, una prima volta.